Cinema giapponese
Tardo autunno / Akibiyori
Akiko, vedova da sette anni, vive felice con la figlia Ayako. Tre vecchi amici di famiglia vogliono far sposare Ayako, ma lei rifiuta. Allora cercano di far risposare Akiko con uno di loro tre, il professor Hirayama, anche lui vedovo.
Il film sarà proiettato venerdì 20 novembre alle ore 19.00 presso il Centro Incontri Culturali Oriente Occidente, Via Lovanio 8 (MM2 – Moscova) nel contesto della rassegna “Viaggio nel Giappone antico e moderno attraverso il cinema”, curata da Giampiero Raganelli.
Regia: Ozu Yasujiro
Sceneggiatura: Noda Kogo e Ozu Yasujiro
Da un romanzo di Satomi Ton
Fotografia: Astuta Yuharu
Montaggio: Hamamura Yoshiyasu
Musiche: Saito Kojun
Con: Hara Setsuko (Miwa Akiko), Tsukasa Yōko (Ayako), Okada Mariko (Sasaki Yuriko), Sata Keiji (Goto Shotaro), Saburi Shin (Mamiya Soichi), Ryū Chishū (Miwa Shukichi), Nakamura Nobuo (Taguchi Shuzo), Kita Ryuji (Hirayama Seiichiro)
Produzione: Shochiku
Durata: 129’
Giappone, 1960
Terz’ultimo film di Ozu, che sarebbe morto tre anni dopo. Un’opera senile, pervasa da un forte senso di malinconia. Le allusioni ai giorni di gioventù da parte dei tre anziani amici, ex compagni di università, sono costanti, dall’inizio alla fine del film. Ma sono anche una rievocazione dei film di Ozu degli anni ‘30. L’autunno è poeticamente la stagione della tristezza, il periodo in cui si medita sulla propria vita. Nella prima scena i riflessi dell’acqua ondeggiante sul muro della parete del tempio, formano un’immagine caratteristica del cinema di Ozu, che rende un senso di fragilità e di impermanenza.
Il film è anzitutto un ritratto del Giappone di quegli anni. Il soggetto del film è la famiglia, un concetto centrale in tutto il cinema di Ozu, così come nella società nipponica. Il sistema famigliare di stampo patriarcale, caratteristico del sistema feudale venne rafforzato dal Codice Civile Meiji. Con l’industrializzazione dei primi del ‘900, divenne un modello culturale per molte istituzioni, come gli uffici governati da paternalistici manager. Ma nel dopoguerra il concetto di patriarcato va incontro a un processo di declino. Il nucleo principale del film è una famiglia tronca, mancante del padre. Una condizione che accomuna anche molti personaggi secondari.
I protagonisti del film sono prototipi della middle class giapponese del dopoguerra: impiegati, dirigenti d’azienda e non manca la figura tipica ozuiana del professore dalle buone maniere. Le donne giovani, come Yuriko, sono indipendenti e rappresentano il caratteristico ritratto della moga, la “modern girl”. Permane la pratica del miai-kekkon, il matrimonio combinato, anche se fortemente scoraggiata durante l’occupazione americana. Ma comincia ad affiancarsi l’abitudine del matrimonio per amore, che di solito non riscontra il consenso dei genitori. Le tipiche abitazioni sono quelle che si sono diffuse a seguito delle trasformazioni economiche e della crescita urbanistica degli anni ’50: blocchi di appartamenti costituiti da due stanze e cucina e tinello. Fanno da sfondo le atmosfere urbane della grande città, Tokyo, con le sue luci al neon, le scritte a caratteri occidentali, i suoi caffè e ristoranti, i suoi vicoli.
Da un punto di vista strutturale, il film si caratterizza con la tipica narrazione soppressiva di Ozu, che fa largo uso di elissi, e da una complessa architettura di parallelismi e simmetrie della sceneggiatura. Si ripetono molte situazioni, come quella del personaggio che va a lavarsi le mani, e ambienti, come la terrazza dell’edificio in cui lavorano Ayako e Yuriko. Nella filmografia di Ozu, sono anche gli stessi film che si ripetono. Tardo autunno è speculare a Tarda primavera, in cui Hara Setsuko interpreta stavolta la figlia, che il padre vedovo vuole far sposare. La poetica di Ozu si costruisce sull’incessante flusso del tempo. Il regista americano Paul Schrader, profondo conoscitore della sua opera, a tal proposito diceva: «se l’arte europea descrive un momento nel tempo, l’arte orientale rappresenta una continuazione ininterrotta».
Il regista
La carriera di Ozu Yasujiro abbraccia il periodo che va dal 1927 al 1962. In quegli anni ha realizzato 54 pellicole, di cui ne sono rimaste 37, anche se alcune incomplete.
E’ stato il cantore del nuovo Giappone. Si basa sul fluire della storia, sulla lenta estinzione dei valori ancestrali e la loro progressiva sostituzione con un nuovo modello di società. Il suo cinema racconta la vita moderna quotidiana della piccola borghesia, le piccole cose di tutti i giorni. L’altro grande regista giapponese, a lui contemporaneo, Mizoguchi Kenji, disse «Io ho descritto lo straordinario in modo realistico. Ozu ha rappresentato l’ordinario in modo realistico, cosa ancor più difficile».
Donald Richie, il decano degli studiosi di cinema nipponico, lo definì come il più giapponese di tutti i registi. Nessuna sua pellicola però raccoglie il retaggio tradizionale, storico o leggendario del Giappone. L’unica eccezione è rappresentata dal primo film, che è andato perduto, Zange no yaiba (La spada della penitenza, 1927). Si trattava di un chambara, un film di cappa e spada, fatto su commissione, che comunque rinnegò. La “giapponesità” di Ozu si ritrova nel senso di impermanenza, nel carattere effimero della vita, nella fugacità delle cose che fanno sprigionare dal suo cinema una e continua e penetrante nostalgia, propria di un artista che vede la vita in un continuo stato crepuscolare. Sulla sua lapide, Ozu ha voluto che ci fosse il kanji mu, il nulla.
Giampiero Raganelli