IL GIOCO DEL DESTINO E DELLA FANTASIA (Gūzen to sōzō, 2021), Ryūsuke Hamaguchi

di Marcella Leonardi

 

L’articolo è tratto dal blog di cinema giapponese classico e contemporaneo NUBI FLUTTUANTI

 

Da tre racconti di Ryūsuke Hamaguchi: Magia (o qualcosa di meno rassicurante) – Porta spalancata – Ancora una volta. Il film è in streaming su Raiplay.

Per chi scrive, Il gioco del destino e della fantasia è forse il più bel film di Hamaguchi. Un’opera che instaura un contatto intimo e intenso con lo spettatore, una “specie di magia”, come vuole il titolo del primo episodio; o una “porta spalancata” sull’animo dei personaggi, le cui vicende ed emozioni si ripercuotono sulla nostra esperienza.

Il primo episodio è focalizzato sulla giovane Meiko e sui sentimenti contrastanti nel confronti dell’ ex Kazu, che ora frequenta la sua migliore amica Tsugumi. Durante una corsa in taxi l’ignara Tsugumi racconta a Meiko dell’incontro; ed è meraviglioso come Hamaguchi trasformi un semplice spostamento in automobile in una discesa nel segreto, quasi un’immersione nella psiche. Mentre le due amiche parlano, la strada scorre illuminata nella notte, si addentra in sottopassi, si attorciglia in infiniti percorsi lungo la città. Le luci si riflettono sui volti delle donne e la conversazione diviene rivelazione profonda. Hamaguchi gioca su un’alternanza di “dentro e fuori”: dentro l’auto, fuori nella città-mappa dell’inconscio, ma anche dentro e fuori l’ufficio dove Meiko confronterà Kazu e infine dentro-fuori il bar. Le dimensioni sono separate da vetrate e finestre, in un indefinito di iridescenze e illusioni; il vetro è anche uno schermo dove la vita proietta l’imprevisto.
C’è un misto di irrazionalità ed entomologia che solo il brano di Schumann, che introduce ed intervalla i tre episodi, riesce a sintetizzare con la sua melodia matematica. Sensuale ma nitida, intima e autunnale ma anche chiara e ben scandita, la partitura di Schumann è la controparte musicale dei dialoghi, delle confessioni a due voci, delle pause e degli “andanti” animosi che si scatenano nella mente.

Il secondo episodio è più malinconico: un destino di solitudine per Nao, che accetta di aiutare il suo giovane amante Sasaki tendendo una trappola al professore universitario che lo ha bocciato. “I nostri corpi sono perfettamente compatibili” dice Sasaki per convincerla. Le inquadrature sembrano dargli ragione: i corpi degli amanti si muovono all’unisono, o si allungano in orizzontale in composizioni armoniche, l’uno lo specchio dell’altro, in una mise-en-abyme del desiderio. Ma se con Sasaki l’intesa è fisica, con il professor Segawa sarà la parola a schiudere un’affinità elettiva, una messa a nudo del cuore. Hamaguchi filma la conversazione tra Nao e Segawa modulando in modo incantevole la luce solare che entra dalla finestra. I raggi aumentano o diminuiscono d’intensità, mentre le emozioni vengono inondate di sole, o si nascondono ritrose nell’ombra. È un
momento magnifico e delicato, che contrasta con la pornografia del romanzo del professore, letto da Nao ad alta voce; eppure, sono proprio quelle volgarità “lette con una voce bellissima” ad avere effetto inebriante. La regia del dialogo attinge esplicitamente alla filosofia di Ozu secondo cui “esiste la sensibilità, non la grammatica (del cinema)”: la codifica relativa al raccordo di sguardo viene completamente disattesa. Nao e Segawa dialogano “guardando in macchina” e lo spettatore incrocia in prima persona i loro occhi. La sensazione è di profonda emozione. È raro e bellissimo che un regista si prodighi per condividere con il suo pubblico un momento cruciale: il cinema di Hamaguchi è un privilegio.

L’ultimo episodio è il più magico e tremulo: un gioco che cambia la realtà e la vita stessa. Ciò che accade tra Natsuko e Aya ha del meraviglioso: da un fraintendimento nasce la possibilità di mettere in scena la vita, mutarla, stabilire un nuovo (lieto) fine. In un certo senso i due gentili, timidi personaggi femminili si appropriano del mestiere del regista e inventano per sé un destino, confondendo realtà e finzione. Le attrici Fusako Urabe e Aoba Kawai sono così brave da farci percepire ogni sfumatura, ogni minimo movimento nell’anima delle due donne; si piange e si ride con loro, mentre Hamaguchi le avvicina sempre più. Con stacchi a 180° intreccia le due esistenze, le mette di fronte a uno specchio in cui finalmente è possibile un riconoscimento.
A volte mi chiedo perché sono qui. Potevo diventare qualsiasi cosa, ma il tempo è volato via prima che me ne accorgessi.
L’episodio conquista qualcosa di bello e vero – raggiunge un nucleo di verità, lo sfiora appena lasciandolo intatto in tutta la sua bellezza. Ogni essere umano è fragile. Nulla sembra accadere mentre le parole scorrono come un fiume; ma ogni parola, libera e misteriosa, diventa la sostanza impalpabile in cui il mondo interiore si rivela. Le domande dell’esistenza – i “se”, i “forse” – sembrano approdare a una quiete, forse una temporanea soluzione. E la vita, nonostante tutto, è ancora una volta meravigliosa e degna di essere vissuta.

[Marcella Leonardi è critica cinematografica e docente. Da sempre appassionata di cinema, ha collaborato con varie testate tra cui Sonatine, Cinefilia Ritrovata, Nocturno e Otto e mezzo. Da alcuni anni si dedica prevalentemente al cinema giapponese.]