Intervista a Tomoko Nagao

Ritratto di Tomoko Nagao, foto di Alberto Moro Photographer.

– Da quanti anni vive in Italia?

Da quasi 20 anni.

– Ho visto che ha studiato in Giappone e a Londra. Qual è stato il suo percorso?

Ho sempre studiato Belle arti, sin dal liceo. Dopodiché mi sono laureata, sempre in Belle arti, e ho studiato Arte contemporanea al B-semi Schooling System (Yokohama). Questi studi mi hanno avvicinato al mondo dell’arte contemporanea giapponese. Dopo la laurea ho studiato al Chelsea College Art and Design di Londra, dove ho vissuto per 4 o 5 anni, e infine quasi vent’anni fa mi sono trasferita a Milano quando mi sono sposata con un italiano.

– Ha usato molto icone del Rinascimento italiano, come la Gioconda, la Venere di Botticelli, oltre a opere di Caravaggio. Qual è il suo legame e il rapporto che ha con l’arte italiana?

Quando vivevo a Londra ho cominciato a pensare alla mia identità giapponese, dato che venivo vista per prima cosa come asiatica, poi come giapponese e infine come donna. Dopodiché, ho pensato di collegare questa mia identità all’arte. Una volta arrivata in Italia ho legato con il territorio, iniziando a pensare alle sue icone nell’arte, che ho rielaborato con uno stile giapponese.

Per me la storia dell’arte è anche la storia dell’Europa: credo che l’arte sia legata alla società e la rifletta anche nei suoi cambiamenti. Nelle icone del passato, del periodo di Botticelli ad esempio, posso vedere cosa la gente pensasse del periodo in cui viveva. Per me la storia dell’arte è allo stesso tempo la storia del mondo, e ovviamente l’Italia nella storia dell’arte ha avuto un ruolo centrale. È a questo a cui ho voluto collegare la mia identità.

– Lei utilizza diversi media, lo stencil all’acquerello, l’olio su tela anche. C’è un media che preferisce?

Prevalentemente uso la pittura, anche se creo anche sculture, opere digitali e collaborazioni di moda e design. Per me la cosa più importante è il concetto, l’idea alla base di un’opera che poi sviluppo in modi e con metodi diversi, dal disegno alla scultura o all’installazione.

– È anche per questo che a distanza di anni ritorna a lavorare su soggetti che ha già pensato ma che rifà in altre forme, in altri colori, altre modalità?

Sì, voglio sviluppare un tema quanto più possibile, molto spesso ritorno a lavorare sui soggetti. Per esempio è da molto tempo che uso il personaggio e la storia di Salomè, tanto che la mia Salomè è diventata quasi come un logo che mi rappresenta. Una volta ideato il personaggio lo sviluppo poi in tanti modi, con l’arte tradizionale a quella digitale e street art.

– Ha un pubblico in mente quando realizza le opere? A chi si rivolgono?

Onestamente sono molto attenta al futuro. Naturalmente devo vendere, alle gallerie, direttamente ai collezionisti, o anche a persone che comprano una mia opera per la prima volta, ma è al futuro che guardo. Penso a come possa far sopravvivere nel futuro il mio nome e la mia arte, sono più interessata a quando non ci sarò più. Non penso tanto a come la gente guarda le mie opere oggi, su internet e sui social si dicono tante cose, ci sono tantissime opinioni, che ascolto senza darci peso perché è più importante ascoltare sé stessi e immaginare come verranno viste le mie opere tra cent’anni. È con questo focus che creo la mia arte.

– Mi collego a quello che stava dicendo, i suoi collezionisti e chi compra le sue opere sono più privati, musei o esposizioni pubbliche?

Per la maggior parte si tratta di collezionisti privati e gallerie. In questi anni poi mi è capitato anche di vendere a un museo e, l’anno scorso, di lavorare a un’installazione di public art, che ho eseguito per la prima volta nei pressi del Taipei Dome di Taiwan grazie alla collaborazione con lo studio FunDesign. In questo caso l’acquirente è stato il governo taiwanese. L’opera, collocata sul pavimento della piazza davanti al Taipei Dome, è grande di 15 metri ed è realizzata in ghisa e colore.

“L’Allegoria della Cupola di Taipei” è un’opera che si presenta a più livelli e si ispira all’iconico affresco dell’artista italiano Giovanni Battista Tiepolo. La combinazione del Rococò e di simboli come lo stadio di baseball e i beni di consumo si intrecciano in un mondo di credenze multiple. Gli angeli nel dipinto guidano le vie per esplorare ogni angolo di questo centro: rappresentando semplicemente un indice. Forse le persone saranno guidate attraverso l’hub, verso la loro destinazione, forse si fermeranno a godersi il cielo a terra, o forse ancora incontreranno qualcuno lungo la strada. È un luogo dove iniziare un nuovo viaggio.

“The Allegory of Taipei Dome”, 2024, FunDesign.tv x Tomoko Nagao, Public art in Taipei Taiwan, Iron template epoxy resin, 1140cm x 1140cm

– Cosa c’è dietro al suo personaggio di Salomè?

Il personaggio di Salomè è stato realizzato prima come murales, poi con stencil, con la grafica digitale, in sculture di diverse dimensioni e materiali: quelle piccole o medie sono in resina, ma ne ho fatte anche in forma di palloncini, anche di molto grandi, come un gonfiabile di 10 metri. Per me questo concept è ancora importante. Il personaggio deriva dalla Bibbia e secondo la storia, la testa sul piatto dovrebbe essere quella di un uomo, Giovanni Battista. Nella mia interpretazione, invece, la testa è quella di una donna, perché credo che nella nostra società la donna sia una vittima. Per questo ho voluto fare questo cambiamento.

Left: “Salome L-pegasus”, 2018, mixed media: 130x137x97cm Right: “Salome L-sulfur”, 2018, mixed media: 130x137x97cm

– In alcuni articoli si legge che il suo stile è ispirato a quello di Nara Yoshimoto e di Takashi Murakami. Lei riconosce la loro influenza sul suo modo di fare arte?

Essendo nata e cresciuta a Nagoya, ho frequentato le scuole lì e quando ho cominciato a fare arte, intorno agli 11 anni, Nara è venuto a insegnare disegno in un corso extra-scolastico in una scuola molto grande della mia città. Non solo ho frequentato il corso, ma sono anche andata a vedere le sue prime mostre, allestite sempre a Nagoya. Magari un’influenza c’è stata, ma non è che abbia studiato tanto i suoi lavori. Su Takashi Murakami e sul suo stile Superflat ho letto tanto. Durante il mio soggiorno a Londra, sono stata molto influenzata dal femminismo nel mondo dell’arte e da artisti come Tracey Emin, che negli anni ’90 era una superstar, da Julian Opie, che usava queste linee nere e rotonde molto simili a quelle che uso oggi, e in generale dai British Young Artists.

– Lei si è occupata anche di ambientalismo, soprattutto in relazione al Triplice Disastro del Tohoku del 2011. Questo tema nasce in risposta a questo evento o lo precede?

In realtà le mie opere non si focalizzano sulla critica della società. Magari al loro interno si possono vedere tanti problemi della società di oggi, ci sono temi come il femminismo e l’ecologia, ma questo deriva dalla mia visione personale e dal mio creare l’opera secondo ciò che vedo. Per esempio, in alcune opere si possono vedere tanti oggetti che galleggiano sul mare, prodotti del supermercato o di McDonalds, ma questo vuole essere una rappresentazione di come vedo la realtà e la società degli anni Duemila e non una critica o un giudizio. Magari in futuro qualcuno si esprimerà su come gli anni Duemila fossero brutti o belli, non so.

– Su cosa sta lavorando al momento?

In molti mi chiedono se ho cambiato stile, perché ultimamente sto lavorando tanto con la ceramica e con gli acquerelli ma non è così. Come soggetto sto sviluppando la natura in chiave animistica: secondo il pensiero giapponese, nella natura, negli alberi, nei fiori c’è un’anima ed è quest’anima che voglio rappresentare.

Ci può dire qualcosa in merito alle opere realizzate per il progetto “Arte in cantiere”, conclusosi lo scorso settembre?

Ho realizzato delle opere pensate espressamente per questo progetto davanti a un pubblico durante una performance di live painting. Mi hanno chiesto di fare qualcosa sul tema della natura, quindi ho fatto una vanitas (NDR: natura morta che allude alla caducità della vita e all’incombenza della morte) con la tecnica dello stencil, con dei fiori, un teschio, delle farfalle e altri insetti. È da un po’ che sono interessata alle vanitas e alla pittura del XVI/XVII secolo, soprattutto quella fiamminga. Come al solito, ho personalizzato questo tema al computer con il mio stile e le mie linee, dopodiché ne ho ricavato uno stencil. Voglio rappresentare la natura che nasce e muore, concetto tipico delle vanitas e che si esprime nel “memento mori”, che anche noi giapponesi abbiamo nella nostra cultura. Noi crediamo nella reincarnazione: un giorno sono umana ma poi nella prossima vita magari sarò un insetto, come una farfalla.

Quali sono i suoi prossimi progetti?

Il mio prossimo progetto è una collaborazione che sto mandando avanti con Fundesign di Taiwan, la stessa con cui ho lavorato nel 2023 per il progetto di public art di Taipei. Al momento, sto portando avanti la collaborazione con questo studio di eventi e design attraverso la produzione di sculture di angeli, realizzate in resina, che saranno poi messe in vendita tra la fine dell’anno e l’inizio del 2025.

L’ispirazione alla base di queste sculture deriva dell’affresco “Apoteosi della famiglia Pisani” di Tiepolo, che ho reinterpretato con la mia arte digitale nel 2020, mentre riflettevo sulla natura durante al periodo del COVID: percepivo l’assenza della natura e la messa in discussione della vita urbana della società contemporanea. Questi otto angeli rappresentano elementi naturali come la pioggia, il mare, le foglie, il sole, le foreste e i fiori: da questi concetti derivano i loro colori.

“Angels series”, 2024, Polystone Electroplating edition-10 W30cmxD20cmxH30cm

http://tomokonagao.info/index.html

Intervista di Francesca Mora