UN’IMMAGINE AUTENTICA DEL GIAPPONE

 

La Letteratura femminile del periodo Heian

 

Intervista a Paola Scrolavezza

 

Ma i monti e i fiumi consueti, così come sono, le case come le vediamo dovunque con tutta la loro autentica bellezza e armonia di forme – queste scene, per dipingerle come sono, o per far vedere che cosa si annida dietro una siepe familiare in un angolo molto appartato del mondo, o un folto d’alberi sopra un colle non particolarmente eroico, e tutto quanto con adeguata cura della composizione, proporzione e simili – sono cose che richiedono la mano del più alto maestro, e mettono a mille sbaragli il comune artigiano.

Estratto dall’ intervento di Uma no Kami, nel secondo capitolo del Racconto di Genji di Murasaki Shikibu, che proponiamo nella traduzione italiana a cura di Adriana Motti dall’inglese di Arthur Waley.

 

Nei quattro secoli circa, dall’Ottavo al Dodicesimo, in cui Heian-kyō, l’attuale Kyoto, fu capitale, si affermò un’aristocrazia illuminata, colta e sensibile agli influssi d’oltremare in cui la cultura cinese era dominante e perfettamente integrata e assimilata, con dame di corte quali indiscusse protagoniste letterarie.

Per quanto sia innegabile che numerose opere di scrittrici siano state ritenute pregevoli fin dalla loro contemporaneità, e si concordi tuttora nel ritenere il Genji Monogatari un capolavoro della letteratura giapponese di tutti i tempi, più complicato è donare ad esse il giusto merito. Insieme a Paola  Scrolavezza, docente presso l’Università di Bologna e curatrice di NipPop, ci siamo posti la domanda: Cosa rappresenta davvero la letteratura femminile del periodo Heian, apogeo culturale della storia del Giappone?

“Indubbiamente sono opere pregevoli ma il posto loro riservato all’interno della cultura Heian era di poco conto, frivolezze a cui raramente gli uomini si dedicavano e che le stesse dame di corte percepivano nulla più che un divertissement. Sarebbe sbagliato pensare che questi testi avessero nel momento in cui sono stati scritti la stessa importanza che è a loro attribuita ora, tanto più che successivamente all’epoca Heian molti di essi furono quasi dimenticati, e le dame di corte ulteriormente subordinate alla autorità maschile. Inoltre non era comunque loro concesso di scrivere in cinese, infatti il Genji Monogatari è scritto per buona parte in kana”

Murasaki Shikubu aveva studiato cinese, ma era buon costume che le donne non si mostrassero saccenti e sfoggiassero di conoscere i sinogrammi al pari degli uomini. Per scrivere il Genji Monogatari, si servì della scrittura autoctona, lo hiragana, che proprio per questo utilizzo da parte delle autrici donne venne definito onnade, “mano di donna”. “Non era una scrittura inventata dalle donne – spiega la professoressa Scrolavezza – né usata esclusivamente da loro. Anche se proprio grazie al lavoro femminile si è evoluta e diffusa, per esprimere la varietà e le sfumature di una lingua tanto ricca di omofoni come quella giapponese è sicuramente inadeguata.” La nostra domanda, dunque, sembra rimanere ancora senza risposta.

E’ l’autrice con cui abbiamo aperto questo articolo, a fornirci una chiave di lettura diversa e risolutiva, proprio con le poche righe citate: “Ma i monti e i fiumi consueti, così come sono, le case come le vediamo dovunque con tutta la loro autentica bellezza e armonia di forme… sono cose che richiedono la mano del più alto maestro”

Sono opere, quelle di Murasaki Shikibu, Sei Shōnagon, Izumi Shikibu e delle altre donne scrittrici del periodo Heian, che offrono al lettore qualcosa di introvabile nei lavori maschili: “Si tratta di sensibilità e attenzione alla vita di corte. Queste autrici ci lasciano pensieri e confidenze, descrivono la propria quotidianità con sguardo attento, spesso ironico, e con un sottile acume. Anche se la scrittura in hiragana non era una vera e propria prerogativa delle donne, era comunque a loro legata, tanto che gli uomini che volevano comporre opere afferenti a quei generi, talvolta usavano pseudonimi femminili. Possiamo ringraziare solo queste autrici, se oggi possiamo avere un’immagine autentica del Giappone all’apice del suo splendore, se possiamo vedere la corte Heian così com’era al tempo di Genji, per quanto immaginario, e – conclude – in lingua giapponese.”

di Beatrice Varriale