GLI AINU DEL GIAPPONE – V. PRESERVAZIONE CULTURALE E MEMORIA

La situazione contemporanea degli Ainu, è intimamente connessa con la strategia adoperata durante gli anni di assimilazione. In genere, quando si fa riferimento alla cultura giapponese, la si intende come una cultura “omogenea”, nonostante vi siano attualmente differenti gruppi etnici. Per quanto concerne gli Ainu e la tradizione culturale, possiamo considerarla come un lavoro di costruzione o come un prodotto soggetto alla condizione di trasformazione. Ciò ha richiesto periodi di intensa attività finalizzati all’affermazione dei propri diritti e dei propri aspetti religiosi, come pure momenti di grande passività, fino a includere una fase in cui essi erano tentati ad integrarsi nelle credenze del gruppo dominante. Quest’ultimo atteggiamento era dovuto alla considerazione che essi avevano della loro tradizione, come appartenente oramai al passato.

Le teorie sulla modernizzazione, pongono in relazione antagonistica la tradizione e il cambiamento e il primo passo verso la rivitalizzazione necessita proprio di una sintesi tra di essi. L’immagine che noi, come pure gli Ainu hanno della loro tradizione culturale, è certamente il risultato della loro specifica storia, la quale ha subìto e subisce ancora differenti interpretazioni. In realtà, non vi è un’unica immagine di un processo continuo di costruzione della stessa, ma uno spettro di possibili costruzioni dato dal fatto che gli individui apprendono dall’esperienza e riconsiderano il loro punto di vista. Ciò può essere visto e interpretato, come un lavoro di costruzione/trasformazione. Più precisamente, essi sperimentano i mutamenti della moderna società giapponese e quegli elementi essenziali vengono etichettati come “memoria”.

Mi piace ascoltare la mia amica Sachiko, quando mi racconta del mondo Ainu. Mi parla dell’esistenza di una complessa relazione fra il mondo degli dèi (Kamui Moshiri) e il mondo degli uomini (Ainu Moshiri); una interazione costante, tanto che attraverso i sogni è possibile connettersi con i propri antenati e ricevere indicazioni su vicende quotidiane. Tale relazione, uomo – divinità o Kamui, è alla base della tradizione orale, intrisa di storie che parlano di benedizioni ricevute dopo aver correttamente eseguito le cerimonie. Scongiuri e altre formule tentano di onorare le divinità e ottenerne i favori. Di fatto, il rituale stesso viene considerato come avente un forte potere manipolatore delle energie.

Nella cosmologia Ainu, tre sono i concetti chiave, Ramat, Kamui e Inau. Tutto ciò che esiste è dotato di Ramat. Esso è l’essenza di tutte le cose. E’ l’anima degli uomini, il principio vitale degli animali e delle piante, la forza che muove il vento, che agita il mare, che trascina i fiumi, il sostrato degli oggetti casalinghi o di quelli utili alla caccia. Solo gli organismi morti, gli oggetti rotti, ciò che deve decomporsi per rimettere in circolazione la materia di cui è costituito, non ha Ramat.  Questa percezione animista del mondo, fa sì che essi attribuiscano potere sacro a oggetti come ad esempio gli amuleti offerti alle divinità per averne i favori. E’ possibile discolparsi per mezzo di rituali e offrendo loro Inau, bastoncini di legno intagliati nel legno del sacro salice, lunghi da pochi centimetri ad oltre un metro. Essi presentano una punta ad una estremità per poterli conficcare nel suolo, mentre all’altra, possono presentare trucioli (kike) come a formare dei capelli o un mantello sacro con potere protettivo. In questa complessa cosmogonia, dove il mondo degli déi e quello degli uomini si trovano in un universo parallelo, vanno così a formare una dimensione armonica.

“Inau”, presso il Museo dell’Hokkaidō. Foto di Flavio Risi.

La dinamica inerente i valori alla base della tradizione religiosa, era favorita dal fatto che le ideologie religiose continuano ad esistere non solo nella memoria, ma anche nella pratica, come dimostra il fatto che gli Ainu celebrano ancora diversi rituali religiosi. Essi includono le cerimonie: Iyomante (“sacro invio dell’orso”, esso era la manifestazione terrena del dio supremo delle montagne, Kira-Mante-Kamui (o Kim-un-Kamui), che assumeva tale travestimento per discendere sulla terra. Il rito prevedeva la cattura di un cucciolo d’orso, che veniva allevato come un animale domestico, fino all’età di tre-quattro anni, nutrito con il cibo migliore e a cui venivano offerte birra sacra di miglio e preghiere. In passato, quando l’animale era molto piccolo e senza denti, una delle donne del villaggio diventava la sua ‘madre putativa’ e lo allattava al seno. L’idea fondamentale che è alla base di questi costumi e dello Iyomande stesso,  è che il dio-orso gioisce delle stesse cose di cui gioiscono gli esseri umani); Shakushain  (il nome di Shakushain si deve alla più importante ribellione Ezo nel 1669, quando il capo Shakushain venne ucciso. Dal 1946, il 23 settembre di ogni anno, viene organizzato un evento che commemora proprio la figura di Shakushain); Marimo Festival (il termine marimo deriva da mari, che in lingua giapponese è tradotto come “biglia”, mentre mo è un termine generico per le piante che crescono in acqua. Il primo “Marimo Festival”, venne celebrato presso il lago Akan, nel 1950. Cerimonie simili in passato, vennero etichettate dalle autorità giapponesi, come “cruenti”, “incivili” o “inventate” e inoltre, quando l’Hokkaidō fu annesso al Giappone, nel 1868, la pratica dello Iyomante venne proibita. Per quanto riguarda il Marimo Festival, con il tempo ha acquisito un importante riscontro, non solo a livello nazionale ma anche internazionale. Infine la cerimonia di Shakushain, vide la creazione di una statua a Shizunai che è possibile visitare nel Parco Mauta, sulla costa meridionale dell’Hokkaidō. Accanto alla statua sorge lo “Shakushain Memorial Museum”, costruito nel  1978 da un castello abbandonato, che è possibile visitare durante tutto l’anno, con ingresso gratuito.

Cerimonia dell’orso “Iyomante”, foto scattata presso il Museo dell’Hokkaidō.

Quando parliamo di rituali religiosi e di attività culturali, intendiamo pratiche il cui potenziale è stato sottostimato per secoli. L’attuale pratica, non è meramente una questione di rappresentazione, ma diviene una modalità o una interpretazione in versione moderna, grazie alla quale  gli Ainu si servono per attrarre turisti e giornali. In questo modo, percepiscono la loro tradizione religiosa come quel frammento che è andato perduto, come qualcosa di esterno a se e che essi stessi si sforzano di recuperare. Si tratta dunque di un patrimonio religioso e culturale  che è stato ridimensionato per sfruttarne una nicchia commerciale.

Tra gli Ainu sussiste il forte ideale secondo cui, il cammino di coesistenza tra essi stessi e i giapponesi non-Ainu, potrebbe svilupparsi in una maniera costruttiva includendo rispetto per ognuna delle due culture, sia nelle piccole comunità regionali, sia nella grande società giapponese.

Esiste  in realtà, una diversa maniera fra gli individui di intendere la promozione della cultura Ainu, poiché diversi sono i punti di vista e diverse le idee. Essa rappresenta un elemento di inestimabile valore del proprio patrimonio e una risorsa preziosa sia per gli Ainu stessi, che per la società giapponese la quale, attraverso una politica di promozione, tenta di realizzare una società multiculturale, traducendo questo impegno in un immenso sforzo per sostentare il popolo Ainu.

 

                                                                                     

                                                                                                                                 Sabrina Battipaglia