Mishima contro gli studenti – Il dibattito | Prima parte
Yukio Mishima (1925-1970) è senza dubbio uno dei più famosi e apprezzati autori giapponesi contemporanei. Oltre che ai suoi romanzi, tuttavia, la sua fama è anche tristemente legata al suo suicidio – eseguito tramite seppuku dopo aver occupato con una squadriglia paramilitare il ministero della difesa.
Pur rimanendo sempre distante dalla vita politica del suo Paese, Mishima aveva delle idee chiare e forti – talvolta persino scomode – che si rifanno al nazionalismo giapponese. L’esaltazione dell’Imperatore, ritenuto l’emblema dello spirito giapponese, la condanna della Costituzione redatta dopo la seconda guerra mondiale e della subordinazione – a suo parere ingiusta – agli Stati Uniti sono elementi chiave della sua visione storico-politica. Mishima dedicò la sua intera vita alla ricerca del connubio perfetto tra arte, bellezza e azione nel segno di quello che per lui era diventato il valore supremo, ossia il Giappone stesso.
Quelli che riportiamo nella traduzione di Stefano Bresciani sono alcuni frammenti tradotti in italiano del dibattito tenuto da Mishima all’Università di Tokyo, nel maggio del 1969. Durante tutto il 1968 e parte del 1969, associazioni studentesche come lo Zenkyōtō (全共闘, letteralmente “comitato di tutte le università unite nella lotta”) e sindacati studenteschi come lo Zengakuren (全学連, nato nel 1948), sull’onda dei movimenti europei ed americani, protestarono contro la presenza massiccia di militari americani sul suolo giapponese, dovuta alla guerra in Vietnam. Si trattava principalmente di gruppi che lottavano anche in nome di istanze care all’estrema sinistra, la matrice opposta a quella in cui oggi lo scrittore viene collocato, spesso a sproposito.
Il dibattito fu acceso (è riportato come molti studenti urlassero e controbattessero ferocemente alle affermazioni dello scrittore) e documentato, anche da alcune fotografie. Dell’intero dibattito – di cui riportiamo solo alcuni brevi passaggi – esiste un’edizione cartacea in giapponese curata dagli stessi studenti che vi parteciparono all’epoca (oggi molti di loro sono affermati accademici). In quest’articolo iniziamo a riportare due punti del lungo dibattito. Per leggere la seconda parte, clicca qui.
Il parere di Mishima sui suoi uditori, i membri dello Zenkyōtō
In ogni caso, in quel periodo (Mishima sta parlando di quanto successo attorno al 1952, N.d.r.), c’era qualcosa che ho pensato guardando le facce delle autorità governative. Il 28 aprile (il giorno di quell’anno in cui il Giappone riacquistò la piena sovranità dall’occupazione degli Usa, N.d.r.), al mattino, nei loro occhi non c’era nulla che desse l’apparenza di ansia o disagio. Questo mi portò ad ammirarli straordinariamente, ma se fossi stato un membro dello Zengakuren, come mi sarei sentito?
Questo mi fece pensare al romanzo di Mauriac, Therese Desqueyroux. In quest’opera, una donna di nome Teresa mette del veleno nella bevanda del marito. Perché sta avvelenando suo marito? Forse lei non lo amava? Non possiamo saperlo con chiarezza. Forse lo odiava? Nemmeno questo si può dire con certezza. Sebbene non siamo capaci di definire chiaramente il movente, il fatto è che lei l’ha avvelenato. Anche se Mauriac stava cercando di affermare delle verità psicologiche, alla fine, Teresa uccise il coniuge perché “aveva visto ansia, paura, disagio negli occhi del marito”. Questa è certamente la mia interpretazione, ma al di là di ciò voi, che mi state ascoltando, volete vedere la paura negli occhi delle autorità e del potere, e di questo non c’è dubbio. Ad essere onesti, è qualcosa che anche io vorrei vedere. Vogliamo vedere le stesse cose da una prospettiva diversa. Perché non sopporto gli esseri umani che si sentono sicuri, e a questo punto non mi piace proprio come si sono messe le cose. [ride]
Mishima parla della centralità del tempo nella creazione artistica
Studente (S): Oserei dire che le persone che si sono opposte alla Destra hanno costituito uno spazio specifico di lotta per tale obiettivo. Si avvicinano timidamente alla Destra e ne arrivano a contatto. Si misurano a partire da loro stessi, e come nelle Metamorfosi di Kafka, avanzano come un bruco. Trasformano il dibattito in una danza. Tuttavia la tua (di Mishima, N.d.r.) danza non pare simile alla loro. Anche se in questo dibattito si fanno collegamenti dall’inizio alla fine, non tocchiamo mai totalmente le cose di cui discutiamo.
Mishima (M): Questo tuttavia è dovuto alla natura delle parole, non trovate? La caratteristica speciale di ciò che chiamiamo “parole” è che non vengono mai a contatto con le cose che descrivono; ci provano con tutta la loro forza, ma non toccano, né diventano mai tali cose.
S: Ma, se posso permettermi, quando un lavoro creativo viene scritto, non ha bisogno di riconoscersi nella volontà del suo creatore, sbaglio? Si potrebbe dire che il lavoro creativo si crea, autonomamente, il proprio spazio.
M: Io stesso continuo a ripetere che, tuttavia, quello spazio autonomo, da solo, non è soddisfacente. Se lo conquisti senza aggiungere il tempo all’insieme, non vale nulla.
S: Beh, le cose si stanno facendo serie.
M: Per niente! [ride. Applauso generale]
Traduzione di Stefano Bresciani
Stefano Bresciani, appassionato di cinema e cultura orientale, studia filosofia all’Università di Pavia.