Hanami – Le origini della tradizione
Il fiore di ciliegio – sakura – è da tempo immemorabile uno dei simboli più cari ai giapponesi e l’hanami, la rituale gita fuori porta per andarne ad ammirare la fioritura, è una delle ricorrenze più sentite dell’anno. L’origine della tradizione affonda le sue radici nella tradizione agricola, per poi evolversi e arricchirsi nel corso dei secoli di altri significati, contagiando anche l’arte, la letteratura e la filosofia. E arrivando così a forgiare alcuni dei concetti estetici più importanti della cultura nipponica.
“Se mi chiedessero quale sia lo spirito di questa nostra isola, risponderei un ciliegio in fiore che rifulge nel sole del mattino.”
Con questa frase Motoori Norinaga (1730 – 1801), uno dei più importanti studiosi delle tradizioni giapponesi, riassume efficacemente l’amore che i giapponesi nutrono da secoli verso i fiori di ciliegio, i sakura, e ci aiuta a comprendere come mai ogni anno la ricorrenza dell’hanami sia così sentita.
Hanami significa letteralmente “ammirare i fiori”, che nella cultura giapponese sono, per antonomasia, quelli di ciliegio. Questa completa sovrapponibilità dei due termini ha origini antiche, tanto che nella maggior parte delle poesie di epoca Heian (794 – 1185) sono usati come sinonimi. La tradizione trova le sue origini nella cultura agricola, quando le antiche popolazioni dell’arcipelago giapponese festeggiavano l’inizio della primavera, cioè della stagione in cui era nuovamente possibile dedicarsi al raccolto. Il periodo della fioritura dei ciliegi, in particolare, corrisponde al momento in cui avvengono le prime piantumazioni del riso, alla base dell’alimentazione giapponese. Si può capire, quindi, come mai questo momento fosse così sentito.
Per vari secoli, in realtà, l’oggetto di attenzione dell’hanami non erano solamente i sakura, ma numerose altre specie floreali, tra i quali il più popolare era il fiore di susino (ume). Questo primato del fiore di susino è confermato anche dalla frequenza con cui il termine ricorre nel Man’yoshu, un’antologia poetica del 759. L’ume è soggetto di ben 110 componimenti, mentre appena 43 poesie mettono al centro i sakura. Tale tendenza viene poi ribaltata in epoca Heian, quando il fiore di ciliegio diventa ufficialmente il più popolare. La data simbolica in cui, si dice, il sakura assurga a fiore simbolo del Giappone è l’830, quando l’imperatore Ninmyo decide di sostituire un susino all’interno di uno dei cortili del palazzo imperiale con un ciliegio, via via rinnovato nella posizione originaria fino ai nostri giorni.
Da questo momento in avanti, la popolarità dei fiori di ciliegio non accenna più a diminuire. Durante il periodo Meiji (1868 – 1912), in cui iniziano a svilupparsi le idee alla base del nazionalismo nipponico, il cui apogeo viene poi toccato tra le due Guerre mondiali, il fiore di ciliegio viene anche usato in maniera propagandistica, paragonandolo alle vite dei giovani soldati. Un parallelo, in realtà, già presente nella cultura samuraica, ma che qui assume un significato del tutto nuovo, in quanto si vuole glorificare i soldati morti in guerra paragonandoli a uno dei simboli più cari ai giapponesi.
In effetti, il fiore di ciliegio si presta particolarmente a questa similitudine. Dal momento in cui sboccia a quello in cui sfiorisce non passano che due settimane. La bellezza caduca di questo fiore è sempre stata molto apprezzata dai giapponesi e costituisce il paradigma di uno dei concetti estetici fondamentali dell’arte e della letteratura del Sol Levante, il mono no aware, cioè stupore, meraviglia delle cose. Il concetto esprime l’idea di una bellezza straordinaria, che lascia senza parole, ma che è fragile e destinata a svanire in fretta. Questo effimero splendore genera un sentimento di malinconia. Si può capire facilmente come questo concetto sia intrinseco alla vita giapponese, se si pensa alla precarietà determinata dalle condizioni ambientali nell’arcipelago. I frequenti fenomeni sismici o i tifoni rischiano, infatti, di cancellare da un momento all’altro la vita e le opere dell’uomo. E solo negli ultimi decenni le tecnologie costruttive stanno facendo svanire questa cultura collettiva.
Forse anche per questo i giapponesi hanno sempre mostrato un’elevata sensibilità verso quella bellezza fragile e delicata, che può svanire da un momento all’altro.
Federico Moia