Aruitemo Aruitemo – Ritratto di una famiglia tra morte e memoria
“Un mare apparentemente calmo che, con l’alzarsi e l’abbassarsi della marea, è continuamente increspato da piccole onde.”: così descrive Koreeda Hirokazu il trascorrere del tempo in Aruitemo aruitemo.
Quelle tanto piccole quanto significative increspature sono raccolte nel film come foto in un vecchio album di famiglia che, sfogliato pagina dopo pagina, tratteggia, ma non rivela apertamente, la complessità delle vicende della famiglia Yokoyama, protagonista della pellicola.
Il film ritrae la famiglia durante l’annuale commemorazione della scomparsa del primogenito Junpei, annegato per salvare la vita di un ragazzino sconosciuto. L’interesse del regista si concentra sul quotidiano, su come i personaggi affrontino la loro nuova esistenza, svelando a poco a poco i rapporti tra gli anziani genitori, Toshiko e Kyōhei, e i due figli rimasti, Chinami e Ryōta. I genitori, del tutto incapaci di superare la perdita del figlio prediletto, sembrano vivere nel suo ricordo, lasciando che la morte domini le loro vite. Diverso è, invece, l’atteggiamento dei due figli: la maggiore sembra essersi lasciata il passato alle spalle vivendo il presente e pensando al futuro, mentre il minore, meno spensierato della sorella, è vittima della frustrazione del padre che non può fare a meno di paragonarlo al figlio perso e ritenerlo un buono a nulla.
L’anniversario si trasforma in una vera e propria rievocazione del dolore con la rituale visita del ragazzo salvato, espressamente voluta da Toshiko. L’episodio contrasta con il clima nostalgico e tranquillo percepito fino a quel momento dando sfogo alla crudeltà dei due genitori. La madre desidera ricordare costantemente al ragazzo il peso del sacrificio che la famiglia ha dovuto affrontare per salvare la sua vita, che, soprattutto secondo Kyōhei, non valeva certamente il prezzo che è stata pagata.
Aruitemo aruitemo è girato dal punto di vista di Ryōta che non risulta però essere il personaggio principale in senso assoluto. Protagonista della pellicola non è il singolo individuo, ma la collettività, in questo caso la famiglia Yokoyama nel suo insieme. Tuttavia Koreeda applica ai membri della famiglia un isolamento visivo per mettere in evidenza alcune di quelle piccole increspature che agitano la superficie di tranquillità della giornata. L’esempio più toccante è il mezzo primo piano su Yukari durante una conversazione con Toshiko: l’inquadratura cattura il sorriso della donna che si dilegua a poco a poco fino a sparire completamente quando la suocera afferma che forse la cosa migliore sarebbe che lei e Ryōta non avessero dei figli loro.
Ancora una volta Koreeda utilizza la memoria per dissolvere i confini tra realtà e finzione e il mezzo cinematografico per filtrare il reale. In Aruitemo aruitemo sono presenti diversi elementi che rievocano ricordi, alcuni propri della memoria di Koreeda (la figura di Toshiko è ispirata alla madre del regista), altri appartenenti ad una memoria collettiva e quindi presumibilmente noti anche allo spettatore e altri ancora di origine puramente fittizia.
Ai temi cari a Koreeda della morte e della memoria, in Aruitemo aruitemo si aggiunge quello della famiglia, la cui esplorazione, intima e personale, è condotta dall’interno, dal punto di vista di un figlio che vive un rapporto distaccato con i propri genitori. Come nei drammi familiari del cinema più tradizionale, Koreeda dipinge con una sensibilità tutta giapponese un modello della tipica famiglia nipponica, ma grazie all’universalità dei sentimenti presentati, il film risulta accessibile anche ad un pubblico occidentale. I personaggi sono persone del tutto ordinarie con preoccupazioni comuni a qualsiasi cultura, come il progressivo invecchiamento dei genitori e l’apprensione che ne deriva, nei cui atteggiamenti si celano tensioni e disaccordi non sempre dichiarati.
Allo spettatore non resta che lasciarsi condurre da Koreeda attraverso il mare dei sentimenti umani e le sue increspature, in cui si trova l’essenza della vita di tutti.
Maddalena Pologna