Teatro Kamishibai
di Cristina Solano
Quando nei villaggi si sentiva risuonare il suono di due bacchette di legno che battevano l’una contro l’altra, immediatamente si creava una folla di bambini raccolti intorno alla figura di un uomo che trasportava sul retro della sua bicicletta un piccolo teatrino. Per i bambini, quello rappresentava un momento di festa perché era finalmente arrivato il Gaito Kamishibaiya, che con le sue hyoshigi annunciava l’inizio di una nuova e fantastica storia.
È tra gli anni venti e cinquanta del ‘900, tuttavia, che il teatro Kamishibai vede il suo massimo successo e definisce la sua forma tradizionale. L’avvento del cinema sonoro, infatti, determina la scomparsa del narratore Benshi, cioè la figura che dava la voce al cinema muto. Così molti di questi vedevano nel Kamishibai la possibilità di guadagnare piccole somme di denaro.
Il Gaito kamishibaiya si spostava di villaggio in villaggio, trasportando sulla sua bicicletta una struttura a forma di piccolo teatro, nel quale veniva esposto un set di tavolette di legno illustrate. Quando il pubblico era formato, il Gaito kamishibaiya cominciava a raccontare le storie, stimolando la fantasia dei bambini con l’aiuto delle tavolette illustrate messe in sequenza narrativa.
Il declino del teatro Kamishibai ha inizio con l’arrivo in Giappone della televisione, durante gli anni cinquanta. Anche se il Gaito kamishibaiya e il suo teatro sono ormai scomparsi da molto tempo, dalla quotidianità, il loro ricordo e la loro tradizione continuano a restare vivi, tutelati e tramandati.