Le storie erranti del Giappone
LE STORIE ERRANTI DEL GIAPPONE
Un’introduzione al Kamishibai
Era una scena piuttosto usuale nel Giappone del primo novecento vedere un gruppo di ragazzini accorrere al suono dello hyoshigi, strumento formato da due battenti in legno che veniva percosso per annunciare che era giunto il kamishibaiya, il narratore che da lì a poco avrebbe dato vita alla magia del Kamishibai.
Si tratta di un teatro di strada che ebbe un’enorme diffusione in tutto il Giappone tra gli anni ’30 e gli anni ’50 del secolo scorso. Iniziò il suo declino con l’avvento della televisione, che inizialmente era indicata con il termine Denki Kamishibai ( kamishibai elettrico ), il che ci dà la misura di quanto questa forma espressiva rappresentasse un fenomeno culturale ben radicato nel tessuto sociale, superando di gran lunga – in termini di pubblico – altre forme di intrattenimento come il cinema o il teatro.
Consiste in un teatrino in legno di misure ridotte ( butai ) all’interno del quale il kamishibaiya faceva scorrere delle immagini disegnate che illustrano una storia in sequenza.
In questa efficace sintesi di immagini e parole consiste la peculiarità e la forza espressiva del kamishibai. Come in tutte le situazioni in cui c’è qualcuno che narra e qualcuno che ascolta, fondamentale è la qualità del contatto che si stabilisce. In Giappone si usa il termine Kyokan per indicare “ il cerchio della condivisione dei sentimenti ” tra chi narra e chi ascolta, Nella mia esperienza di narratore questo spazio affettivo e di empatia si è sempre manifestato, in particolar modo con i bambini, che sono sempre riusciti a rendere unico ogni evento.
Passato
Alcuni studiosi fanno risalire le origini del Kamishibai al XII secolo, collegandolo ad altre forme di narrazione visiva come i famosi rotoli dipinti chiamati emakimono. Inoltre il kamishibai si è distinto in Gaito Kamishibai ( Kamishibai di strada ) e Kamishibai Kyoiku ( Kamishibai educativo ), ma qui ci occuperemo del Kamishibai nelle forme in cui si diffuse come teatro di strada.
Il termine kamishibai nasce dall’unione delle parole “ kami ” (carta) e “ shibai “ (teatro, drammatizzazione), e si può tradurre come “ teatro di carta ”.
Il narratore sfilava la prima immagine rivelando al pubblico quella successiva, e così via fino alla conclusione. La sua abilità consisteva nel creare il giusto equilibrio tra lo scorrere delle immagini e l’incedere della narrazione, tenendo desta l’attenzione del pubblico. Per esempio in alcuni passaggi poteva far scorrere molto lentamente un ‘immagine e scoprire solo parzialmente quella successiva,
suscitando curiosità e prolungando la suspence. Il fatto che le immagini scorressero da sinistra a destra ne determinava la costruzione, in termini di inquadratura e composizione. Le immagini dovevano risultare leggibili anche a distanza, il che comportava che i disegni fossero sintetici, efficaci e privi di inutili dettagli. Solitamente sul retro delle immagini era trascritto il testo della storia, anche se molti kamishibaiya la eseguivano a memoria.
Come già detto, si trattava di un teatro di strada, i narratori si spostavano di villaggio in villaggio o da un quartiere all’altro delle città a bordo di biclette sulle quali era montato il butai. Si guadagnavano da vivere vendendo caramelle e altre leccornìe ai bambini. Non c’era nessun obbligo di acquistare la loro merce per assistere allo spettacolo, semplicemente facevano disporre più vicino chi aveva acquistato e più lontano gli altri Si stima che nella sola Tokyo – nel periodo di massima diffusione – operassero circa tremila kamishibaiya, tra i quali si riciclarono diversi Benshi, i narratori del cinema muto che si ritrovarono senza lavoro al sopraggiunger del sonoro. Nel drammatico periodo della grande depressione, un gran numero di persone riuscì a sopravvivere e avere un reddito grazie al kamishibai. Bisogna considerare infatti che era un’attività che oltre al kamishibaiya coinvolgeva molte altre figure: dagli artisti che dipingevano le storie – e delle quali vi era una continua richiesta – al Kashimoto, una specie di “ boss” che si occupava di diversi aspetti organizzativi, come il noleggio delle biciclette, la commissione agli artisti della realizzazione dei disegni per le storie che poi faceva circolare tra i kamishibaiya per rinnovare il loro repertorio.
Bisogna sottolineare che le storie erano tutte costituite da disegni originali, e rappresentavano perciò dei pezzi unici. E’ verosimile che in una produzione di numero così elevato vi fossero dei prodotti dozzinali, ma tanti altri rappresentavano dei piccoli capolavori. Purtroppo di questo enorme patrimonio ne sopravvive oggi solo una piccola parte adeguatamente custodita.
I generi narrati spaziavano dal comico al drammatico e le storie non erano rivolte esclusivamente ai bambini e ragazzi, ma ad un pubblico di tutte le età. La formula adottata era quella di concludere l’episodio rimandando la fine della storia agli incontri successivi, in modo da garantirsi una nuova affluenza di pubblico incuriosito da come sarebbero proseguiti gli eventi. Perciò ogni racconto si componeva di più episodi, ognuno dei quali in media era composto da una dozzina di disegni.
Spesso i protagonisti erano giovani eroi che dovevano affrontare prove e tribolazioni, combattendo contro animali feroci o terribili alieni alla conquista del mondo. In queste storie sono apparsi i primi personaggi in costume con identità segrete, prototipi dei moderni superoi.
In assoluto uno dei personaggi più popolari fu Fantaman ( Ogon Bat : Pipistrello dorato ). Grazie alla sua enorme popolarità sopravvisse al declino del kamishibai, trasmigando nei Manga e successivamente alle Anime.
A proposito dei Manga, a buon diritto il Kamishibai può esserne considerato un precursore. Nel suo libro “ Manga Kamishibai” Eric P. Nash scrive : “ Se la maggior parte della cultura pop giapponese [ … ] ha origine dai Manga, il Manga ha le sue radici nel Kamishibai ” Oltretutto esistono dei collegamenti diretti, poiché diversi kamishibaiya si dedicarono ai Manga divenendone in breve figure chiave, come Sanpei Shirato e Shizero Mizuki.
Conclusa la sua parabola, il Kamishibai rimase per lungo tempo solo un motivo di nostalgia per le generazioni che avevano avuto la possibilità di assistervi.
Futuro
All’incirca dalla metà degli anni ’80 il kamishibai è stato oggetto di un crescente interesse riapparendo non più come teatro di strada ma nel contesto di scuole e centri di cultura, e si è avviato un nuovo periodo di diffusione che è partito dal Giappone per allargarsi ad altri paesi del mondo.
Questo rinnovato interesse ha portato alla nascita, nel 2001, dell’ IKAJA : “ The International Association of Japan”, che si propone di favorire la comunicazione in tutto il mondo tra chi si occupa di Kamishibai e promuoverne lo studio. A questo proposito, uno degli ultimi eventi organizzati dall’Associazione, in collaborazione con la “Petite Bibliothèque Ronde “ è stato il meeting europeo di Kamishibai dal titolo “ Un Kamishibai pour la Paix”, organizzato nell’aprile 2012 in Francia presso la sede dell’ Unesco. Si susseguono nel mondo eventi come workshop e conferenze, in Giappone periodicamente si tiene un raduno nel quale gli artisti eseguono le storie da loro stessi create e realizzate : tutti segnali che fanno ben sperare che il Kamishibai possa emanciparsi dal concetto di revival e guadagnarsi a pieno titolo un posto permanente
accanto ad altre forme espressive della nostra epoca, come il cinema o il fumetto, avendo tutti i requisiti per potersi considerare un’arte senza tempo.
Pino Zema
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Tratto da Pagine Zen n.96.