Naruse Mikio
di Dario Tomasi
Naruse, Mikio
Regista cinematografico e sceneggiatore giapponese, nato a Tokyo il 20 agosto 1905 e morto ivi il 2 luglio 1969. Quasi coetaneo di Mizoguchi Kenji e Ozu Yasujirō, N. ha faticato più dei suoi colleghi ad affermarsi nel mondo del cinema giapponese prima e internazionale poi e solo con il tempo la sua opera ha conquistato l’attenzione che merita. N. realizzò soprattutto degli shomingeki (“drammi sulla gente comune”), concentrandosi in modo particolare sull’universo familiare, spesso colto nella sua essenza, di là dalle contingenze storiche e sociali. Il suo cinema è innanzi tutto una straordinaria galleria di ritratti femminili, di donne che rifiutano il ruolo di vittime e si battono con coraggio per realizzare le loro aspirazioni, anche quando sanno d’essere prive di vie d’uscita. È proprio l’ammirazione del regista per questa irrazionale ostinazione a dare al suo cinema un carattere decisamente particolare. Se negli anni Trenta N. ricorse a quello stile ornamentale tipico del cinema giapponese dell’epoca, con angolazioni insolite e frequenti movimenti di macchina, negli anni Cinquanta il suo linguaggio si prosciugò, si fece più lineare, per permettere allo spettatore di cogliere con l’attenzione dovuta i gesti dei personaggi, le sfumature degli sguardi, i mutamenti d’espressione, il lavoro degli attori.
Nato in una famiglia di umili condizioni, N., dopo aver frequentato una scuola tecnica, entrò, all’età di soli quindici anni, negli studi Kamata della Shōchiku, dove conobbe il regista Ikeda Yoshinobu che nel 1922 lo promosse suo assistente. N. rimase tale per sei anni, prima di passare nello staff di Gosho Heinosuke e, finalmente, debuttare come regista nel 1929 con Chanbara fūfu (I coniugi Chanbara). Il film, come i molti che seguirono negli anni immediatamente successivi, si basava sulla tipica formula della Shōchiku: un’insolita miscela di slapstick e melodramma, gag e lacrime. Ne è un esempio il primo film conservato del regista, Koshiben ganbare (1931, In bocca al lupo, piccolo salariato), in cui si narrano le vicissitudini di un agente assicurativo pronto a subire ogni umiliazione pur di vendere una polizza a una ricca signora. N. si specializzò così negli shomingeki, genere cui infuse la propria personale esperienza, la sua capacità di descrivere le atmosfere degli shitamachi (i quartieri popolari) e la variegata realtà dei suoi abitanti, come per es. accade in Kimi to wakarete (1933, Dopo la nostra separazione), storia di una geisha che si vede disprezzata dal figlio a causa del suo mestiere. Dopo aver lasciato la Shōchiku nel 1934 ed essere passato alla PCL (Photo Chemical Laboratory, poi Tōhō), N. diresse nel 1935 il suo primo film sonoro, Tsuma yo, bara no yōni (Moglie, sii come una rosa), con cui ritornò a quell’equilibrio di dramma e commedia che già aveva caratterizzato i suoi film d’esordio e riuscì a conquistare l’attenzione della critica e del pubblico. Al successo di questo film seguì, tuttavia, un lungo periodo di crisi, che attraversò gli anni della guerra e quelli dell’occupazione americana, in cui N. diresse pochi film senza incidere in quasi nessuno: fra le poche eccezioni si può citare Hataraku ikka (1939, Tutta la famiglia lavora), storia di una numerosa famiglia nella quale, per sopravvivere, tutti sono costretti a lavorare, compresi vecchi e bambini. Ma con gli anni Cinquanta le cose cambiarono di nuovo e N., ritrovata la propria vena creativa, realizzò i film più importanti della sua carriera. Del 1951 è Meshi (Il pasto), sottile analisi della crisi coniugale di una coppia, alla cui sceneggiatura collaborò anche il futuro premio Nobel Kawabata Yasunari. Il film è l’adattamento di un romanzo della scrittrice Hayashi Fumiko, dalla cui opera N. trasse altri cinque film: Inazuma (1952, Il lampo), storia del rapporto di una madre con i suoi quattro figli ‒ tre femmine e un maschio ‒ avuti ognuno da un uomo diverso; Tsuma (1953, Moglie), sul tentativo di una donna di salvare un matrimonio alla deriva; Bangiku (1954, Tardi crisantemi), che vede fra i suoi protagonisti una geisha in lotta contro l’ineluttabile trascorrere del tempo; Ukigumo (1955, Nubi fluttuanti), uno dei film più apprezzati del regista, storia dell’amore assoluto di una donna per un uomo debole ed egoista; Horoki (1962, Cronaca di una vita vagabonda), biografia per immagini della stessa Hayashi. In quegli anni N. lavorò soprattutto per la Tōhō e riuscì a dar vita a un gruppo di collaboratori ricorrenti che comprendeva gli sceneggiatori Tanaka Sumie e Mizuki Yōko, il musicista Saitō Ichirō, il direttore della fotografia Tamai Masao e gli attori Takamine Hideko e Uehara Ken. Nacquero così altri film di qualità come Okāsan (1953, Madre), Ani imōto (1953, Fratello e sorella) e Fūfu (1953, Marito e moglie), tutte scrupolose indagini di microcosmi familiari, come Yama no oto (1954, Il suono della montagna), dal celebre romanzo di Kawabata, mentre con Nagareru (1956, Fluttuare) il regista disegnò il declino della tradizionale figura delle geishe ormai divenute, nel dopoguerra, semplici prostitute. Negli anni Sessanta N. realizzò ancora un buon numero di film ma, come altri registi della sua generazione, fu coinvolto dalla crisi del mondo produttivo. Da ricordare in particolare Onna ga kaidan o agaru toki (1960, Quando una donna sale le scale) e Midaregumo (1967, Nubi sparpagliate), ancora due convincenti ritratti femminili: quello della proprietaria di un bar di Ginza, il primo; di una donna incinta il cui marito muore in un incidente stradale, il secondo, che fu anche il l’ultimo film del regista. bibliografia
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