L’iki e la modernità
L’”Iki” e la “modernità”, applicati al Kimono, sono difficili da spiegare – ma nella misura in cui la differenza fra i due termini esiste in maniera definitiva nel mondo del Kimono, questi due termini devono essere compresi se si deve parlare del Kimono o saperne qualcosa.
L’”Iki” nel caso del Kimono non significa la stessa cosa di una “persona chic” o avere “un bell’aspetto”. Fra le donne che indossano il Kimono, i termini “Iki “ e “Shibui” e “moderno” sono utilizzati spesso. A parte da “moderno”, questi sono termini non applicati generalmente agli abiti in stile occidentale. Una rigida interpretazione di questi termini sembrerebbe renderli l’antitesi del “moderno”, ma non è così dal momento che tali termini possono essere applicati al Kimono dei giorni nostri.
L’”Iki” non è in nessun modo qualcosa di vecchio. In ogni età, l’”Iki” esiste in una maniera adeguata a quell’epoca. Così, l’”Iki” è qualcosa che consente a una donna al passo coi tempi che può essere molto “moderna”, di dar abilmente vita a un’emozione che potrebbe a tratti essere considerata antica.
Da ciò possiamo dire che l’”Iki” non è in nessun modo qualcosa da considerare separata dalle mode. Al contrario, quello che è di moda può essere considerato “Iki”, Altrimenti, l’”Iki” diventerebbe meramente antico e fuori moda.
Ritengo che esempi del genere possano essere trovati in altri luoghi che nel Kimono giapponese. Direi che esiste fra gli uomini e le donne di tutto il mondo. L’attrice vamp americana Mae West è un’attrice “Iki”. La pistola e i pantaloni aderenti del dinoccolato cowboy americano, l’espressione delle mani parigine, la camminata di un inglese – tutto ciò è vicino a quello che trasmette il termine “Iki”.
Fra le donne giapponesi, ce ne sono alcune con le unghie pittate di rosso che indossano Kimono con il colletto nero. O quelle che indossano un Kimono a strisce sottili di antico design in maniera moderna.Queste sono le donne che raggiungono un effetto con un tocco di antico nel mezzo della regolarità o della moda prevalente.
Un altro termine applicato al Kimono giapponese è “Shibui”.
“Shibui” o “Shibusa” è una sensazione tipicamente giapponese. C’è quella famosa poesia haiku:
“Furuike ya Kawazu tobikomu Mizu no oto.”
Tradotta letteralmente significa: “In un antico lago salta una rana – il suono dell’acqua.”
A meno che il significato di questa breve poesia possa realmente essere compreso, gli stranieri possono trovare difficile apprezzare il senso del “Shibusa”.
Applicato al Kimono, il termine “Shibusa” può essere spiegato al meglio con un Kimono di alto livello chiamato “Tsumugi”. A prima vista, questo è un tessuto dall’aspetto monotono. Comunque, per ottenere il colore e il motivo, ciascun singolo filo viene selezionato e tessuto a mano. Sia la sensazione che la trama hanno profondità. Senza essere vistoso, è autenticamente “Shibui”.
Perché, allora, consideriamo “Shibui” l’Haiku “In un antico lago salta una rana – il suono dell’acqua”? È perché un mondo di profondità è stato scoperto in una scena che la maggioranza delle persone considererebbe ordinaria e comune e forse addirittura la ignorerebbero, e perché è stato cristallizzato in una poesia cioè in ultima analisi in arte.
Ciononostante, dare semplicemente forma al luogo comune non è necessariamente “Shibui”.
Lo “Shibui” è in realtà un gusto lussuoso. È opposto a un tentativo di apparire migliori al fine di attrarre l’attenzione. È il valore inaspettato di qualcosa che non attira l’attenzione a distanza, qualcosa che appare splendido solo quando viene preso in mano per un’ispezione più da vicino. Invece di una eleganza esteriore, è una eleganza interiore.
Dal punto di vista dell’abbigliamento, “Shibusa” è forse più britannico nell’emozione di quanto non sia americano.
È solo naturale che qualcosa come il Kimono, cha ha una lunga tradizione dietro di sé, abbia sia lo “Shibusa” che l’”Iki”. E questi devono trovarsi non soltanto nel motivo e nel colore ma anche nella maniera di indossare per rendere il Kimono inusuale fra gli stili di abbigliamento del mondo.
Keiichi Takasawa
Traduzione di Mariella Minna