Edoardo Chiossone, il contributo di un italiano all’epoca Meiji
Non sono molti gli studi svolti su Edoardo Chiossone: il suo lavoro in Giappone era quasi sconosciuto quando era in vita e lo rimase anche dopo la sua morte.
Chiossone nacque ad Arenzano il 20 Gennaio 1833 in una famiglia di tipografi, studiò all’Accademia Linguistica di Belle Arti, dimostrando talento particolare e qualità spiccate in disegno e incisione. Il suo interesse cominciò a rivolgersi, intorno al 1862, verso la produzione di banconote e carte valori. Egli sosteneva la tesi che il nuovo stato italiano dovesse avere una sua officina carte valori, e produrre le proprie banconote autonomamente senza dover far ricorso a ditte straniere. Il rappresentante della Banca Nazionale del Regno, incaricò Chiossone di trovare tecnici e artisti disposti a recarsi a Francoforte presso la Dondorf & Naumann per un periodo di addestramento. Egli dimostrò, una grande sete di conoscenza prorogando la partenza fissata dopo un anno, tempo insufficiente, secondo il suo parere, ad imparare completamente le tecniche necessarie per l’intero processo di produzione della carta moneta. Nel 1871 la Banca gli concesse il permesso per lavorare alla fabbricazione di una banconota per il governo giapponese, ancora conosciuta come Geruman shihei, banconota tedesca. Questo fu il primo contatto che Chiossone ebbe con il Giappone.
In quel periodo la missione diplomatica del Governo Meiji guidata da Iwakura Tomomi, viaggiava in Europa in cerca di idee, uomini e tecnologie che potessero validamente contribuire all’organizzazione del moderno Stato Giapponese, e visitò le industrie Dondorf a Francoforte, dove si trovava appunto Chiossone. Tramite il Ministro Plenipotenziario Giapponese pervenne all’italiano l’offerta di fondare e dirigere a Tōkyō l’Officina Carte Valori nel nuovo Istituto Poligrafico del Ministero delle Finanze. Chiossone aveva già quarantadue anni, questo viaggio gli si presentava come un’occasione di riscatto e come campo ideale per dimostrare tutta la sua abilità e volontà.
Arrivò a Yokohama il 12 gennaio 1875 e due giorni dopo risultò essere immediatamente al lavoro al Poligrafico, dimostrando sin da subito la sua serietà e laboriosità. Egli aveva concordato uno stipendio sontuoso (era il doppio di quello che avrebbe percepito Antonio Fontanesi un anno dopo) e ulteriori benefici quali la casa. L’incisore genovese abitava nelle vicinanze della Legazione Italiana e trasformò la sua dimora in una specie di museo di arte giapponese, frequentato sia da viaggiatori di passaggio che da stranieri e giapponesi residenti. La chiave per comprendere il trattamento privilegiato e il ruolo fondamentale che ebbe nella modernizzazione del Giappone, è da ricercare nel rapporto che ebbe con il direttore del Poligrafico Tokunō Ryōsuke; sin dal primo momento essi ebbero stima e simpatia reciproca.
Per Chiossone non si trattò unicamente di eseguire un compito, egli aveva finalmente la possibilità di realizzare quello che era stato il suo progetto sin da quando era partito da Francoforte: fondare e gestire un centro per la produzione di carte valori che non fosse unicamente indipendente da terzi, ma che costituisse un centro di sviluppo di tecniche di stampa e una guida per tutte le aziende private. Egli insegnava le tecniche di tutti i settori attinenti alla stampa, dalla fabbricazione della carta e dell’inchiostro, all’uso della filigrana, al disegno artistico e tecnico, alla costruzione delle macchine. I suoi insegnamenti sono tutt’oggi alla base del lavoro degli artisti e dei tecnici del Poligrafico giapponese.
Nel 1876 produsse i primi francobolli moderni della storia postale del Giappone, i koban kitte. Essi sono stati riprodotti per una serie commemorativa nel 1994, affiancati al volto di Chiossone; si tratta di un avvenimento che conferma ulteriormente il valore fondamentale che ebbe il genovese per la storia del Giappone moderno: egli è stato, infatti, l’unico straniero al quale sia stato dedicato un francobollo commemorativo in terra nipponica. La prima banconota nella quale Chiossone inserì il ritratto di un personaggio fu quella da uno yen emessa nel 1878. Egli scelse il volto della mitica imperatrice Jingū, la quale regnò nel III secolo. E’ curioso osservare come le sembianze di questa imperatrice si avvicinano a quelle di una bellezza rinascimentale italiana; in seguito Chiossone cercherà di riprodurre nelle sue figure dei lineamenti un po’ più giapponesi.
Chiossone potè osservare da vicino i cambiamenti che stavano avvenendo in Giappone: egli era parte, infatti, dell’establishment Meiji, profondamente integrato e funzionale al sistema. Egli lavorò in una condizione di autentica fedeltà alle necessità della storia e ai significati della politica e fu apprezzato non solo per la sua abilità professionale, ma anche per la sua straordinaria capacità di immedesimazione culturale con il paese ospite.
Il risultato delle sue attività può essere raggruppato in tre filoni principali: i ritratti delle personalità contemporanee, le effigi storiche della cultura e della civiltà politica antica e moderna sulle carte valori, e, infine, la documentazione illustrata del patrimonio artistico del Giappone.
Il ruolo di ritrattista ufficiale
La fama di ritrattista di Chiossone si diffuse rapidamente nell’alta società giapponese, come dimostrano i numerosi ritratti eseguiti. Sfogliando un qualsiasi libro che tratti dell’epoca Meiji è inevitabile ritrovare i personaggi principali del periodo, ritratti con le somiglianze che gli aveva dato loro Chiossone. Nel 1872 si manifestò in Giappone
l’intenzione di mutare l’aspetto dell’Imperatore, infatti uno degli obiettivi della Restaurazione Meiji era renderlo visibile affinchè si affermasse il potere della nuova classe politica. Nell’Ottocento era consuetudine in Giappone per i capi di stato scambiarsi fotografie al pari dei biglietti da visita; l’assenza di immagini aggiornate dell’Imperatore era motivo di imbarazzo per i suoi funzionari di corte.
Il ritratto più famoso dell’Imperatore Meiji del 1888 chiamato Go-shin-ei (letteralmente “ritratto imperiale”), che la gente allora considerava una vera fotografia, in realtà era la copia fotografica di un disegno talmente realistico da essere scambiato per una fotografia. Fu Edoardo Chiossone a concepire, nel gennaio del 1888, quel ritratto, e fu Riyo Maruki, uno dei più noti fotografi del tempo a Tōkyō, a riprodurre l’opera di Chiossone sotto la sua stessa direzione. La realizzazione del Go-shin-ei richiese un lungo tempo di elaborazione a causa appunto della ritrosia dell’Imperatore nell’essere fotografato. L’imbarazzo causato dalla situazione spinse il capo del Consiglio a escogitare una strategia: l’unico modo per raggiungere il fine sarebbe stato di concepire un ritratto all’insaputa dell’Imperatore. Durante una visita imperiale Chiossone preparò alcuni schizzi durante l’ora del pasto, osservando di nascosto il volto, la postura e il modo di conversare, prendendo appunti sin nel minimo dettaglio. Tutti rimasero particolarmente colpiti dal lavoro di Chiossone e decisero di mostrarlo all’Imperatore, il quale diede il permesso a utilizzare la nuova “fotografia” nei rapporti diplomatici con i rappresentanti stranieri.
Il metodo che egli utilizzò nel disegnare il ritratto, fu quello di sintetizzare le innumerevoli espressioni fugaci e mutevoli di una persona, catturate dal vivo, nella costruzione di un’immagine simbolica della figura umana che andasse oltre le semplici espressioni. Chiossone infatti attinse a un repertorio tipologico peculiare della sua “europeità”, soprattutto nella scelta della sedia sulla quale fare sedere l’Imperatore e della posizione da fargli assumere. Quando egli, tuttavia, eseguì gli schizzi, riuscì solamente a ritrarre il volto e in minima parte il corpo del sovrano. Per questo motivo Chiossone stesso decise di farsi fotografare in divisa militare con le medaglie appuntate sul petto; in seguito, utilizzò questo scatto come modello per riprodurre il corpo dell’Imperatore, il quale risultò stranamente prestante per un giapponese dell’epoca.
Il contributo alla catalogazione delle opere giapponesi e le collezioni Chiossone
Nel 1879 il Poligrafico organizzò un viaggio di ispezione sui beni culturali giapponesi; infatti negli ambienti governativi era nata la preoccupazione che la mancata documentazione sul patrimonio culturale nipponico favorisse l’esportazione incontrollata di oggetti d’arte, soprattutto di quelli antichi. La squadra del Poligrafico, guidata da Tokuno e affiancato da Chiossone, era composta da undici tecnici e il percorso stabilito era lungo e difficoltoso. I risultati furono però positivi: essi riportarono ben 200 disegni e 510 fotografie che vennero raccolti in una serie di album e di litografie dal titolo Kokka Yoho (Fragranza della Nazione). Si tratta del primo grande repertorio illustrato del patrimonio culturale giapponese, nel quale Chiossone riversò un enorme impegno.
Ma non è l’unica eredità lasciataci da questo personaggio eclettico.
Nel testamento dell’11 gennaio 1898, redatto tre mesi prima della morte, Edoardo Chiossone stabilì che la sua intera collezione andasse all’Accademia Linguistica di Belle Arti di Genova, affinchè ne curasse la pubblica esposizione. Il 30 ottobre 1905 Vittorio Emanuele III Re d’Italia inaugurò il Museo d’Arte Giapponese “Edoardo Chiossone”, il quale rimase in quella sede fino al 1940. A causa dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale il patrimonio museale fu imballato e sfollato a spese e cura del Comune di Genova che, nel dopoguerra, ne divenne il proprietario. Nel 1948 esso deliberò la progettazione e la costruzione di un apposito edificio, da destinare a sede stabile del Museo. La collocazione del Museo all’interno del parco della Villetta Di Negro è ottimale: si trova proprio al centro di Genova mantenendo nel frattempo una posizione appartata e panoramica.
I manufatti comprendono dipinti, sculture buddiste, oggetti archeologici e in bronzo, monete, lacche, porcellane, maschere teatrali, armi e armature, strumenti musicali, abiti, e una delle maggiori collezioni di dipinti, stampe e libri illustrati ukiyo-e. Accanto all’ingresso è esposto il busto bronzeo che ritrae Edoardo Chiossone, copia dell’originale ancora oggi collocato nei giardini dell’Officina Carte e Valori di Tōkyō.
Federica Mafodda
1 Commento
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Grazie per i complimenti! Si tratta di un testo che mi è stato davvero utile nella stesura della tesi e pertanto mi unisco nel consigliarne la lettura!