Umiltà per conoscere, umiltà per insegnare

Riprendendo in parte quanto già affrontato in questo blog sul rapporto Sempai-Kohai, mi piacerebbe focalizzare ora l’attenzione su un’ulteriore relazione molto importante per la cultura e il pensiero giapponesi, ovvero quella tra maestro e allievo. Le motivazioni per soffermarsi su tale aspetto sono innumerevoli. In Asia ogni corrente di pensiero influenza e viene influenzata dalle altre: l’arte trova ispirazione e al contempo si relaziona al pensiero etico-civile e religioso, a principi estetici che formano e regolano la vita quotidiana. Maestro significa guida spirituale, di conoscenza di sé, ma anche di vita, oltre ad essere insegnante della disciplina conosciuta. Diverse culture asiatiche condividono l’idea che, per far entrare dentro di sé la conoscenza, sia indispensabile aprire la propria mente, ripulirla da ogni pregiudizio o convizione personale e saper accettare insegnamenti, critiche, ordini dai propri superiori. Riconoscere la propria ignoranza e umilmente iniziare ad ascoltare e osservare.

Ciò significa che lungo il percorso di insegnamento-apprendimento si stabiliscono precisi ruoli, compiti, posizioni gerarchiche da mantenere e rispettare con totale dedizione.

Recenti studi mi hanno portata ad analizzare nel profondo questa realtà.

Il percorso di conoscenza nel mondo dell’arte giapponese, e non solo, si basa essenzialmente sulla tecnica della copiatura. Il maestro dimostra, gli allievi osservano. Questi devono riuscire a carpire i movimenti, le tecniche basilari, in un secondo momento copiare il modello per una serie indefinita di volte, fino a quando non riusciranno a ricreare un’opera identica all’originale. Questo avviene per ogni tipologia di arte: pittura, shodō, ikebana, ma anche teatro, danza, cerimonia del tè, ecc..

Il significato di tale procedimento trova sostanza nel pensiero giapponese, secondo il quale bisogna saper innanzitutto ricreare il kata,形, la forma, l’esteriorità estetica, per poter successivamente riempire questo contenitore di tutti i valori, i significati, che quell’espressione artistica vuole trasmettere.

Lasciando a scritti futuri un’analisi più approfondita dei valori del “fare arte” secondo la cultura giapponese, è essenziale comprendere ora che per il pensiero orientale l’Arte non è, nè mai sarà fine a se stessa, o veicolo per esprimere un pensiero personale, che accentui l’originale via comunicativa del singolo artista. L’universo è costituito da valori, principi, codici estetici profondi e antichi, ma non tutti gli individui sono in grado di riconoscerli e interpretarli. L’artista è colui che ha il doveroso compito di fare da tramite e rendere comprensibili tali messaggi, affinchè tutti ne possano beneficiare. Il vero maestro non ha brama di creare una propria corrente artistica, nè di personalizzare la tradizione; egli diventa unicamente portatore di una conoscenza antica, inalterata nel tempo. Qui si comprende l’importanza della copiatura. Il maestro deve riuscire a trasmettere questi valori, ma non attraverso spiegazioni precise e razionali, bensì servendosi dell’esempio.

Elena Ravazzi, laureata in lingue e culture dell’Asia Orientale presso Ca’ Foscari di Venezia


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