L’evoluzione della concezione di Kami
Secondo Inoue Nobutaka, mentre lo Shintō viene normalmente classificato come una forma di politeismo, il concetto di kami, che è uno dei suoi concetti cardine, è piuttosto complicato, anche alla comprensione dei giapponesi stessi. Per esempio, i kami che sono stati elencati e classificati sistematicamente nei documenti classici come il Kojiki e il Nihonshoki, sono diversi dalle divinità venerate dalla gente comune nella vita quotidiana.
In altri casi i kami sono stati assimilati a buddha e bodhisattva nel corso della storia giapponese.
La parola giapponese kami viene normalmente tradotta con “Dio”; tuttavia il giapponese kami e l’italiano Dio sono due concetti che si differenziano notevolmente per vari aspetti, dato che si sono sviluppati in culture completamente diverse. La struttura di base dell’idea monoteistica della tradizione giudeo-cristiana è in netto contrasto con l’idea politeistica dello Shintō.
Dal Kojiki (Cronache dei fatti antichi) o dal Nihonshoki (Cronache del Giappone) compilate all’inizio del VIII secolo con lo scopo di legittimare l’ortodossia imperiale della dinastia di Yamato, si può risalire a come nei tempi antichi la popolazione immaginasse i kami.
Si pensa che i kami venissero adorati attraverso oggetti concreti. Corpi celesti, ad esempio il sole, la luna, le stelle erano adorati come kami essi stessi. Fenomeni naturali come il tuono o il vento sono considerati come opere dei kami. Mari fiumi, laghi, montagne, foreste e pietre erano considerati a volte luoghi dove i kami risiedevano, oppure kami essi stessi. Molti animali, specialmente serpenti, coccodrilli, cervi, lupi, orsi, scimmie, volpi e cornacchie erano venerati come kami o come loro manifestazioni.
D’altra parte si registrano anche kami associati a concetti più astratti: divinità ancestrali di clan o divinità guardiana delle aree locali sono incluse in questa tipologia.
È interessante notare che il pantheon e le gerarchie delle divinità si differenziano in modo considerevole nelle due opere: probabilmente la mitologia giapponese era costituita di miti già esistenti in precedenza e la continuità non era così importante.
Si crede che un kami agisca tramite il suo yorishiro, un mezzo o simbolo dello spirito del kami. Pietre, rocce, alberi, animali, specchi, perle di giada e spade sono considerati famosi yorishiro, riconosciuti quindi come il corpo dei kami.
Per questo motivo gli studiosi tendono a definire la natura dei kami dei tempi antichi in termini di animismo; se però usiamo la definizione di E. B. Tylor di animismo come credenza nell’esistenza di esseri dotati di spirito, allora questa definizione risulta inadeguata all’idea di kami nel corso del suo sviluppo storico data la complessità delle caratteristiche del kami.
Tra gli esempi di yorishiro è interessante notare che le montagne, non sono solo considerate luoghi sacri da cui discendono i kami, ma anche il corpo del kami stesso.
In questo modo si può venerare il kami in ogni momento, senza una costruzione o struttura permanente.
Con l’introduzione dei sūtra buddhisti attraverso la penisola coreana di Paekche (Kudara) nel 583, oltre alle immagini e ai manufatti artistici e agli aspetti di una religione sistematizzata e codificata, si assiste in Giappone all’accettazione del buddhismo in modo sincretico e all’armoniosa fusione di Buddhismo e Shintō.
Anche per lo Shintō, l’espressione “Via dei kami” apparirà proprio con l’arrivo del Budhismo, allorché inizia un lavoro di classificazione dei kami tradizionali.
Questi sforzi sfociano nello sviluppo della teoria chiamata honjisuijaku nel IX secolo, secondo la quale Buddha si manifesta al mondo come kami con lo scopo di salvare la gente. 12 Honji suijaku letteralmente significa “manifestazione della vera natura”. In altre parole si pensava che i kami fossero manifestazioni di Buddha, sfaccettature in un linguaggio simbolico, di una medesima verità. Di conseguenza venerare gli dèi equivaleva a venerare Buddha. Fu questo espediente ermeneutico, che attribuiva valore di verità all’antica fede autoctona, a permettere al buddhismo di penetrare a fondo nella cultura giapponese e anche a trasformarsi in modo originale.
Oltre all’influenza a livello ideologico, la fusione armonica di Buddhismo e Shintō ha anche avuto grande influenza sul piano devozionale e rituale e nella vita quotidiana. Essa si esprime in frasi comuni come “adorare shin butsu”, “pregare shinbutsu” ecc. dove shin butsu, cioè kami e buddha sono legati insieme. Benché il governo Meiji avesse adottato la politica dello shinbutsu bunri che ordinava la separazione di Shintō e Buddhismo, kami e buddha continuavano a essere venerati insieme dalla gente comune. Una certa separazione fra le due categorie, espressa con shinji per ciò che riguarda rituali che riguardano la sicurezza della comunità e butsuji per ciò che riguarda funerali e memoriali, viene comunque mantenuta secondo la tradizione popolare.
Nell’era moderna lo Shintō va incontro ad un ulteriore trasformazione in seguito alla formazione di nuovi movimenti religiosi, le Nuove Religioni. Tramite l’attivo proselitismo di queste correnti religiose, appare anche una nuova idea di kami. Si tratta di kami che non risultano nella tradizione classica giapponese, ma sono entità nuove, concepite in modo specifico e funzionale al culto. Nel caso del Tenrikyō e del Konkōkyō che prima della Guerra erano parte delle correnti Kyōha Shintō e che poi si sono scisse in correnti autonome e vengono considerate Nuove Religioni, hanno un’idea di kami che può essere considerata secondo una prospettiva monoteistica: le pratiche di culto si concentrano su un unico kami. Nelle altre Nuove Religioni di origine shintoista l’unicità del kami è molto più eccezionale.
La maggior parte dei nomi dei loro kami non è registrato nei classici giapponesi.
Molto spesso si tratta di una divinità che si rivela per la prima volta al fondatore della nuova religione. Per esempio il kami del Konkōkyō è Tenchi kane no kami, nel Tenrikyō è Tenri ō no mikoto. Nel caso delle prime Nuove Religioni il kami è spesso riconosciuto come l’origine della vita, piuttosto che un dio creatore, ed è spesso identificato con il fondatore stesso della nuova religione. A volte il fondatore è venerato come un “dio vivente”. In sostanza i kami delle Nuove religioni sono entità meglio identificate di quelli delle correnti shintō. Sono immaginati come Esseri che vogliono salvare gli uomini, salvare il mondo da eventi catastrofici o realizzare un paradiso in questo mondo ma possono anche avere connotazioni negative. Questo è il caso, come vedremo, di Ushitora no konjin, il kami di riferimento dell’Ōmotokyō.
Chiara Bottelli, nipponista, si occupa di turismo responsabile e artigianato