La gerarchia giapponese e “Gran Povero”

carte_da_gioco2Ho cercato molte volte di spiegare agli italiani che in Giappone esistono codici complicati e la formalità della gerarchia, ma molti di loro non vogliono credere che la gente in Giappone sia così diversa da quella italiana anche dopo che il Paese è stato occidentalizzato. Dopo averlo capito, allora, cominciano a immaginare che i giapponesi mantengano rigidamente le regole della gerarchia per forza. A me dispiace che non capiscano la nostra mentalità, perciò vorrei spiegarla dando l’esempio del gioco di carte, preferito dalla nostra generazione, che si chiama “gran povero”.

 

La regola del gioco è talmente facile che anche i bambini ci giocano; la prima persona butta una o più carte dello stesso numero e la seconda persona ne butta un numero più alto. La terza e quarta ne buttano di sempre più alte. La persona che ha buttato la carta più alta può cominciare il secondo giro. Si può dire “passo” quanto si vuole, quindi chi ha finito tutte le carte per primo, è il vincitore, lo chiamiamo “gran ricco”, il secondo diventa “ricco” e gli altri sono “popolo”, il penultimo è “povero” e l’ultimo è “gran povero”. Una volta che sono state create le “caste” comincia la regola dello “sfruttamento”, che caratterizza questo gioco; “il gran povero” deve regalare le due carte migliori al “gran ricco” e in cambio lui dà le due carte peggiori al “gran povero”, e il “povero” deve dare la carta migliore al “ricco” e quest’ultimo dà la carta peggiore al “povero”.  Come se fosse la nostra società, naturalmente i “ricchi” possono vincere più facilmente e i “poveri” non possono uscire dalla povertà. Con piccole fortune, però, o con grande strategia, a volte, anche i “poveri” salgono gradualmente la gerarchia, raramente diventano direttamente il “gran” ricco, quindi i “ricchi” corrono il rischio di abbandonare i propri privilegi.

 

Il gioco è davvero terribile e molto ironico, facendo il ruolo dei “ricchi” molte persone cominciano a comandare in modo arrogante e invece i “poveri” supplicano di avere una carta migliore come se una mendicante chiedesse l’elemosina.

 

Allora perché i giapponesi si divertono a giocare questo brutto gioco?  Credo che vogliano concretizzare, giocando con gli amici, la filosofia “Mujo”, il senso d’evanescenza e provvisorietà della vita; l’unica verità nell’universo è che nessuna vita e nessun materiale durano per sempre, quindi la ricchezza, il potere e la gerarchia sono soltanto illusioni. Tanto è vero che molti scrittori giapponesi storicamente hanno lasciato importanti opere letterarie che hanno espresso questo senso, per esempio Bashō è riuscito a esprimere la tristezza di forti samurai che hanno perduto i loro poteri, insieme all’espressione della bellezza della natura in estate, soltanto in pochissime parole. Nel XIII secolo nella corte imperiale c’è stata la grande guerra in cui la famiglia più potente è stata sconfitta. Molti di loro e i suoi seguaci samurai sono stati uccisi e alcuni sono sopravissuti e sono diventati poveri contadini. I paesi che sono stati costruiti da loro rimangono ancora in qualche zona del Giappone. I giapponesi amano ancora questa triste storia e rispettano la famiglia perduta, che si chiama “Heike”, per la sua elegante cultura.  

 

Avendo la forza basata sulla filosofia Mujo, i giapponesi si adattano abbastanza facilmente ai nuovi posti, anche se sono inferiori ai precedenti. La gerarchia, quindi, per loro è soltanto la cultura in cui dimostrano il rispetto per gli altri e, a volte, ci possono anche giocare.

 

Yasuko Sugiyama