Samurai contro Dragone: la sfida del secolo
Prevedere la configurazione del potere in Asia orientale da qui al 2020 comporta due operazioni strettamente connesse tra loro: calcolare i livelli di potere degli attori principali e individuare la presenza o meno di un potenziale egemone tra loro.
Non risulta un’operazione di facile realizzazione, tuttavia, è sempre possibile esprimere giudizi sulle architetture geopolitiche che hanno maggiore possibilità di emergere e, in particolare, prestando attenzione allo sviluppo delle relazioni tra le due grandi potenze asiatiche: Cina e Giappone.
In un contesto particolarmente ricco di elementi destabilizzanti e contrassegnato da un elevato grado di multipolarità quale quello asiatico, Cina e Giappone improntano le proprie strategie di scalata del potere internazionale attuando due linee di condotta diametralmente opposte. Da un lato, la Cina tenta di massimizzare la propria quota di potere relativo collezionando il maggior numero di risorse della potenza quali quelle economiche (la maggior parte del debito pubblico americano è detenuta della Cina); energetiche (negli ultimi anni la politica energetica cinese risulta caratterizzata da una continua ricerca di nuovi partner commerciali, Kazakhistan/Russia; Africa; America latina,Taiwan, per rispondere ad una necessità di differenziazione degli alleati); strategico-militare (sviluppo del settore tecnologico-militare: nano missili, satelliti, Marina Militare e Intelligence, Conquista dello spazio); risorse cosiddette “soft-power” (diffusione della cultura cinese nel mondo e diaspora cinese).
Dall’altro lato, la strategia giapponese si configura come una chiara risposta alla minacciosità della Cina, come una strategia di bilanciamento del potere cinese mantenendo inalterata la propria quota di potere relativo. Nel dettaglio, le risorse della potenza di cui potrebbe usufruire il Giappone sono: una politica economica offensiva attraverso il dominio del fondo monetario internazionale; una strategia politica mediante la riforma della costituzione di stampo pacifista che avrebbe come conseguenza più immediata il riarmo del paese e la trasformazione in “paese normale”; così come una ri-definizione dell’alleanza strategica con gli Stati Uniti e, infine, la possibilità di attribuzione di un seggio presso il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Se, infatti, quest’ultimo decidesse di avere maggiore ruolo militare e politico sulla scena mondiale, lo farebbe perchè non si sente più sicuro di conservare i suoi interessi agendo semplicemente come stato commerciale.
I possibili esiti di questa “battaglia virtuale” sono due: primo, se l’economia cinese cesserà di crescere al ritmo attuale e il Giappone rimarrà lo stato più ricco del nordest asiatico, nessuno dei due diventerà potenziale egemone. Se questo avviene, il Giappone quasi sicuramente si imporrà come grande potenza, dotandosi di un proprio deterrente nucleare e aumentando in misura significativa l’entità delle sue forze convenzionali. Ma si verificherebbe ancora una volta una situazione di multipolarità bilanciata nella regione.
La seconda possibile distribuzione del potere è quella che si verificherebbe qualora l’economia cinese continuasse a crescere a pieno regime, fino a diventare un potenziale egemone. Non solo la Cina sarebbe economicamente più forte degli altri contendenti asiatici ma il suo enorme vantaggio di popolazione le permetterebbe di dotarsi di un esercito molto più potente di quello che riuscirebbero a mettere insieme gli altri Stati dell’Asia nord orientale. In questo caso il nordest asiatico diventerebbe evidentemente un sistema multipolare sbilanciato.
Valentina Gasbarri