L’autodisciplina e gli studi del tè
Una delle grandi lezioni che ho appreso durante i miei 25 anni di studi del tè è l’importanza dell’autodisciplina. Credo che sia uno di quei valori adulti che non sembrano più essere tenuti da conto. Ero solita pensare all’autodisciplina come a una punizione; sentirsi in colpa perché non avevo fatto le cose che avrei dovuto fare, negandomi così il piacere della vita.
Quando all’inizio arrivarono gli studi del tè, non ero una studentessa particolarmente brillante. Non praticavo fra una classe e l’altra, la mia sensei mi rimproverava durante la lezione perché la mia mente vagava, ero in ritardo alle lezioni e ponevo sempre le domande anche quando la sensei aveva appena finito di spiegare proprio la cosa che stavo domandando (non prestavo attenzione). Di conseguenza, non progredivo molto.
La mia sensei mi disse un giorno che non le importava se facessi o meno dei progressi. La pagavo perché mi insegnasse ma dovevo incontrarla a metà strada nel mio apprendimento. Non fu finché mi fu chiaro che volevo studiare il tè che incominciai a concentrarmi su quello che facevo tutte le settimane. Incominciai a pensare alla lezione dopo essere andata a casa e prima di quella successiva. Divenni diligente nello scegliere un nome poetico per il mio chashaku ogni settimana. La cosa divertente era che, quando divenni uno studente migliore, la mia sensei divenne più severa con me. Dovevo lavorare ancora più sodo di quando ero una studentessa pigra.
Quando andai in Giappone, uno dei miei sensei ci disse che eravamo seduti su una montagna di gioielli ma che avremmo dovuto scavare per estrarli noi stessi. Non era il compito dell’insegnate vedere che io avevo una buona esperienza per l’anno in cui eravamo. Questa è stata una dura lezione per me. Quando mi ribellavo o ero pigra o non volevo fare quello che ero supposta di fare o essere quello che si supponeva io fossi, le cose diventavano più difficili per me. Quando mi applicai, tutti i tipi di cose speciali attraversarono la mia strada. Mi stavano allenando.
C’erano alcuni studenti che erano molto bravi ad apparire bravi. Apparivano impegnati quando il sensei guardava e non facevano niente se lui non li guardava. Per la prima metà dell’anno, mi lamentavo spesso con una dei miei sempai delle cose che mi turbavano o che pensavo fossero ingiuste. Lei scuoteva la testa saggiamente a fronte di tutte le mie lamentele e diceva: “Sì, è un buon addestramento per te.” Quando potevo controllare le mie reazioni nei confronti delle altre persone o di quello che accadeva attorno a me, avevo un’esperienza di gran lunga migliore. Sapevo cosa dovevo fare e il solo farlo mi dava una soddisfazione sufficiente.
La mia sensei dice: “Fate la cosa giusta perché è la cosa giusta da fare.”
Tradotto dal blog di sweetpersimmon.com