La pagoda: capolavoro di filosofia e proporzioni
Tempio di Kofuku-ji
Un’alta torre che svettante racchiude in sé tutto il mistero della filosofia e della cultura del sol levante… la pagoda.
Le origini di questo tipico simbolo orientale risalgono attorno al I secolo a. C. in India come stũpa, monumento commemorativo di matrice buddhista.
Una breve descrizione delle sue parti costitutive ci aiuterà a comprendere le assonanze metaforiche tra forma e significato che donano a quest’elemento armonia ed equilibrio e lo rendono così affascinante nella sua semplicità: un solido basamento sorregge l’intera struttura costituita dal corpo (anda), un lungo pilastro (yasti) che dalla cima del corpo si erge slanciato verso il cielo, e una serie di anelli concentrici (chattraveli) che si sviluppano attorno ad esso; all’interno sono solitamente poste le ceneri del defunto. Con lo sviluppo e l’evolversi del culto religioso lo stũpa viene in seguito ad identificarsi esclusivamente con la figura specifica dell’Illuminato (il Buddha storico Shakyamuni) e in alcune culture orientali, come quella tibetana, gli stessi elementi architettonici ne rappresentano metaforicamente le parti del corpo, con l’usanza di dipingerne ad esempio gli occhi sinuosi e penetranti sulla parte superiore. Il più antico e completo esempio di primo stũpa buddhista rimasto in sito è lo Stũpa di Sanchi.
Attraverso la diffusione del buddhismo in Asia la sua struttura subisce delle modifiche assumendo differenti denominazioni e adattandosi allo stile e alla tradizione architettonica delle diverse culture, ma il significato e la simbologia rimangono pressoché invariati. Come elemento più rappresentativo del culto buddhista, questa struttura giunge in Giappone intorno al VI sec. d. C. dove conclude il suo processo di sviluppo come pagoda.
Qui, la pagoda giapponese (tō),talvolta si fonde all’eleganza, purezza e semplicità della tradizione autoctona, in altri momenti segue di pari passo il gusto continentale per le strutture estremamente elaborate.
La struttura diviene quella di una torre a più piani, solitamente cinque, dotata di tetti aggettanti sorretti da complessi sistemi di mensole e travature (kumimono); facciate e tetti sono decrescenti in ampiezza e altezza, e l’ultimo tetto è sormontato da uno svettante pinnacolo (so-rin) che conferisce spinta ascensionale e stabilità all’intera struttura; moduli, unità di misura (shaku) e proporzioni matematiche regolano l’insieme; in questo sembra quasi di avvertire la stessa rigorosità di un Vitruvio (I sec a. C.) o di un Leon Battista Alberti nel suo calcolo delle proporzioni quattrocentesche.
La pagoda giapponese, sempre inserita all’interno di contesti templari, fu inizialmente considerata come edificio di primaria importanza per il culto, in quanto contenente i resti del Buddha. Nel corso dei secoli però anche gli altri edifici religiosi racchiusi entro i confini del Garan – lo spazio del tempio – iniziarono ad assumere un ruolo sempre più rilevante, finendo così col porre in secondo piano la pagoda quale elemento prettamente decorativo ma dotato tutt’oggi di un fascino spiazzante… capolavoro architettonico oltre il tempo e lo spazio.
Eleonora Bertin
2 Commenti
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Come in tutte le culture, non solo orientali, le religioni sono sempre state generatrici di architetture ardite e stupefacenti: forse per onorare le divinità, o forse per additare il cielo, sede delle stesse, ma, infine, quello che conta è che l’arte del costruire deve molto ad esse.
Capolavoro anche strutturale aggiungerei. In un’area supersismica come il Giappone questi edifici in legno quasi senza connessioni sono giunti fino a noi praticamente senza subire danni resistendo ai terremoti come delle grandi fisarmoniche